I Difensori di Riga e quell’11 Novembre 1919

Quando si vive in Lettonia per un pò di tempo, può capitare di alzarsi la mattina, uscire di casa e vedere esposta la bandiera nazionale ovunque, in palazzi, negozi e ristoranti, con quasi tutte le persone intorno che indossano un qualcosa che ne richiami i colori, come piccole coccarde sulla giacca.
Ciò accade perchè questa nazione, avendo vissuto gran parte della sua storia sotto occupazione straniera, è divenuta col tempo piuttosto patriottica, ed ha nel suo calendario molte date importanti che ricorda ogni anno in questo modo.
Una di queste risale a 96 anni e un giorno fa, ossia all’11 Novembre del 1919.
Per capire l’importanza di quel giorno è necessario fare un ulteriore passo indietro all’anno precedente, al Novembre 1918, quando, in accordo coi trattati conclusivi della Grande Guerra, la Lettonia dichiara l’indipendenza per la prima volta nella sua storia recente. E’ il 18 Novembre, naturalmente giornata di festa nazionale.
Ma allora che cosa centra l’11 Novembre di un anno dopo?
Per capirlo bisogna sapere che, in realtà, il nuovo stato lettone era quasi completamente privo di un esercito ed “indipendente” solo sulla carta, dal momento che i russi ne continuavano ad occupare la parte orientale ed i tedeschi quella occidentale, capitale compresa.
In tale situazione il primo ministro Kārlis Ulmanis aveva in realtà meno potere del capo delle forze armate tedesche nel paese, e se ne stava rintanato in una delle poche città effettivamente sotto il suo controllo. Fu così fino al giugno del 1919, quando nella battaglia di Cēsis le forze lettoni, aiutate da molti soldati inviati dall’Estonia, sconfissero l’esercito tedesco e lo obbligarono a firmare un trattato col quale si impegnava a lasciare immediatamente Riga per arretrare più ad ovest, e a lasciare definitivamente il paese nel giro di poco tempo.
La capitale era finalmente in mano al suo popolo, e le premesse per godersi finalmente l’indipendenza sembravano esserci tutte.
A questo punto accadde qualcosa di inaspettato: il capo delle truppe tedesche Von der Goltz, che non aveva alcuna voglia di lasciare il paese, ebbe lo stratagemma di sfruttare la lotta interna alla Russia, quella tra bolscevichi e zaristi, per i suoi interessi.
In quegli anni si trovava infatti nei paesi baltici il principe di Bermondt, un generale russo filo-zarista che aveva radunato un esercito di circa 15.000 uomini, chiamati Bermontiani, con l’obiettivo di andare a liberare il suo paese dai comunisti.
Von der Goltz fece così arruolare tutti i suoi uomini in tale esercito, e strinse amicizia con Bermondt al solo scopo di riprendersi Riga e la Lettonia.
Dal canto suo il generale sovietico era ben lieto di avvalersi anche degli uomini di Von der Goltz in cambio solamente dell’occupazione di Riga, che considerava un’operazione facilissima, quasi una formalità. I Bermontiani arrivarono così in breve tempo a contare circa 40.000 uomini, la maggior parte dei quali tedeschi.
Questi movimenti non passarono inosservati al quartier generale del governo lettone, cosicchè iniziò a Riga una frenetica campagna di reclutamento, ed in pochi giorni ai 5.000 soldati dell’esercito ufficiale si aggiunsero altri 6.000 volontari, per lo più giovani studenti.
Nell’Ottobre del 1919 l’esercito di Bermondt chiese al governo lettone il permesso di attraversare Riga, ufficialmente per andare a combattere i bolscevichi in Russia ma in realtà per occuparla nuovamente.
Il primo ministro Ulmanis non cadde nella provocazione e rifiutò: così l’8 ottobre 1919 i Bermontiani iniziarono l’offensiva dalla vicina città di Jelgava, riuscendo in breve tempo a prendere il controllo di metà della capitale, quella sulla parte ovest del fiume Daugava.
In un primo momento il comando lettone pensò di arretrare la linea di difesa ai margini orientali di Riga, ma i soldati e i volontari riuscirono a mantenere il controllo dei ponti sul fiume e ad impedire l’accesso alla Città Vecchia.
La disparità di forza era enorme: i Bermontiani potevano contare su 40.000 uomini, mezzi corazzati, aerei e cannoni, mentre l’esercito lettone soltanto su circa 11.000 uomini, la maggior parte dei quali male addestrati; la resa di Riga sembrava così imminente che perfino il “Times”, a Londra, né annunciò anticipatamente la caduta.
Ma non è così che doveva andare: i soldati tedeschi, di religione protestante, erano poco motivati e per nulla contenti di combattere a fianco dei russi ortodossi, mentre i soldati lettoni combattevano per la libertà futura di un intero popolo, per difendere le loro case, i loro genitori e i loro figli.
A fine Ottobre il capo dell’esercito lettone chiese un’ulteriore sforzo ai suoi compatrioti, ed in pochi giorni vennero reclutati altri 11.000 volontari, necessari per sferrare l’attacco decisivo che avvenne proprio l’11 Novembre del 1919.
Il piano era semplice e geniale: distrarre le forze di Bermondt attaccandole frontalmente con non molti uomini, e nel frattempo accumulare ai suoi lati i migliori reparti dell’esercito con le armi più potenti per sferrare in un secondo momento l’attacco decisivo.
Restava il problema di decidere chi avrebbe preso parte al primo attacco frontale, quello che fungeva da diversivo e i cui autori sarebbero probabilmente andati incontro alla morte.
Il capo dell’esercito prese così da parte i nuovi volontari, giovani ed inesperti, e gli espose il suo piano dicendogli che avrebbe voluto che fossero proprio loro a sferrare il primo attacco, ma, non volendo obbligare nessuno ad andare incontro alla morte, diede ad ognuno di loro la possibilità di rifiutare ed andare via.
Non se ne andò quasi nessuno.
Il generale, uomo duro e forte, nascose la sua commozione e si lasciò scappare un solo, semplice e sentito “Paldies viri”, grazie ragazzi.
Lo stratagemma funzionò, l’esercito lettone, aiutato anche da alcuni corpi d’artiglieria inglese e francese, riuscì a sfondare le forze di difesa dei Bermontiani, a liberare i quartieri occidentali di Riga ed, in breve tempo e contro ogni pronostico, a liberare tutta la Lettonia dagli invasori.
Da quel giorno l’11 Novembre è diventato Lāčplēša diena, ossia “il giorno di Lāčplēsis” (dal nome del famoso personaggio della mitologia lettone, metà uomo e metà orso), acquistando un significato fondamentale per il paese, forse addirittura superiore a quello della data dell’indipendenza vera e propria.
Lāčplēša diena è la giornata in cui si ricordano tutti coloro che anno perso la vita per la libertà delle future generazioni, a cominciare proprio da quei ragazzi giovani che “non se ne andarono”, cui è stato dedicato un film chiamato “Rigas Sargi”, i difensori di Riga.
Ieri mi trovavo a Ventspils, una cittadina ad ovest della Lettonia, ed ho partecipato a questa fiaccolata per ricordare quel giorno straordinario, partita dal centro della città e conclusasi proprio al monumento per i “Rigas Sargi”.
Manifestazioni del genere sono avvenute in tutto il paese e naturalmente anche a Riga, con la parata militare davanti al Monumento della Libertà e la posa di migliaia di candele sulle mura del suo Castello.
Scrivi un commento